lunedì 19 ottobre 2015

Lettera all'amore

Lui ha poco più di vent'anni. Occhi di pesce vivo, pelle di terra indiana. Mi fa vedere la pagina scritta di un quaderno a quadretti. “Silbia, tu guardare”. La v proprio non riesce a pronunciarla: sente che il suono è quello ma, quando l'aria gli esce dalla bocca, è diverso. Gli faccio vedere, “devi spingere i denti sul labbro inferiore”, lui chiude le labbra e il risultato è una b lunghissima, innaturale. Ridiamo.
Parla netto: pronome, verbo. Non sa che io, tu, noi, si possono anche non dire: a lui hanno insegnato con il dito che io si dice “io” e tu sei tu e le cose che ha imparato lui le vuole pronunciare tutte. Anche quando non ci vogliono, anche quando usa l'imperativo. Gli ripeto la frase giusta, col verbo corretto, e scatta con il palmo verso di me, come a dire “è così che si dice, allora: registrato”. Perché i ragazzi come lui hanno quasi tutti gli occhi di pesce vivo; un guizzo lucido, una spugna che assorbe, voglia di risarcimento o di vendetta.

Vuole che corregga il suo italiano, vuole che gli dica se quello che ha scritto ha senso nella mia lingua: è una lettera d'amore. “Si dev'essere preso una cotta per una ragazza della scuola”, lo penso subito. Parla di un viaggio, dice che ha finito i soldi ma che vuole fare un viaggio e vuole farlo con lei, perché si è accorto che è la donna della sua vita, che non può immaginare una vita senza averla accanto. “Le frase fatte, stereotipate, da baci Perugina, sono le prime che si imparano in una lingua straniera, insieme alle parolacce”, lo penso subito dopo. 

Deve averla scritta diverse volte perché il foglio è pulito: poche cancellature e molte parole scritte con un'ortografia sicura. Eppure l'ho visto molte volte inciampare sulle “elle”, sull'“mp”, sul “gli”-“li” alla lavagna. Guarda il foglio e poi me e poi ancora il foglio. Io seguo le frasi con gli occhi e col dito e, quando mi vede incerta, legge a voce alta e inizia a spiegare e a chiedere “si dice così?”. La maggior parte delle volte è “sì”; altre riscrive il termine giusto in stampatello maiuscolo sopra quello sbagliato, “poi io correggo”. 

Divertita dal mio ruolo di Cupido e curiosa di sapere chi fosse "lei", glielo chiedo: “Ti sei innamorato di una ragazza italiana?”. Sorride e poi mi dice: “È per la mia donna. Solo che ancora non la conosco”. 

Chiudo il quaderno. Perfetta, direi che è perfetta.

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