Ad ogni modo, io sparisco, rifiuto ogni contatto, visivo, di parola, di scrittura. Voi direte, e anche io me lo dico, che questo è infantile. Sarebbe molto più maturo affrontare il discorso, parlare, spiegarsi, insomma, usare tutti quei verbi là: lo so.
Tra i tanti motivi per cui lo faccio - in testa c'è la rabbia ma anche la necessità di dargli il segnale rosso che si tratta di una cosa seria e non di un semplice scazzo - ce n'è uno che io cerco di mascherare ma che temo lui abbia scoperto.
Non mi frega nulla se si presenta con dei fiori (e io adoro i fiori), non mi frega nulla se si presenta con un regalo (e io adoro i regali), mi frega un po' di più se questo regalo è un libro che cerco e non riesco a trovare, ma posso resistere.
Ma se riesce a farmi ridere, anche se sono un drago sputafuoco, è la fine. Perché la risata toglie tutta la suspence, il tono grave, e di "cosa seria" e a lui fa credere (e a ragione) di aver fatto breccia tra la lava incandescente, di aver trovato il rubinetto della mia rabbia. Non so resistere a una battuta ben detta, intelligente, acuta, non banale: questo è il mio problema. Per fortuna, trovare uno che riesca a fare una battuta intelligente, acuta e non banale è una bella lotta, da sé è una prima, ma imponente, selezione naturale (grazie Darwin).
Come ho scritto, penso lui l'abbia capito.
L'altra volta classica scena: litighiamo, io sparisco, non rispondo, non voglio parlare. Poi gli apro la porta per incenerirlo e seppellirlo di parole e lui incenerisce e seppellisce me con una battuta divina. E io rido. E il litigio è finito.
Chiuso il sipario, terminata la tragi-commedia, prendiamo a chiacchierare e lui mi dice: "Se io fossi una donna - e di certo sarei una donna intelligente - e il mio uomo fosse sul ciglio di un burrone, l'unica cosa che potrebbe salvarlo sarebbe una battuta detta bene".
Ecco, infatti.
Ma sappi che, se i motivi del litigio fossero altri, e non si limitassero a discussioni su opinioni e sul modo di affrontare delle situazioni, allora altro che battuta: non basterebbero il manuale della battuta perfetta e tutti i santi del cielo per salvarti.
rìdere v. intr. [lat. ridēre, con mutamento di coniug.] (pass. rem. risi, ridésti, ecc.; part. pass. riso; aus. avere). –
1.
a. Manifestare un sentimento di allegrezza spontanea, viva e per lo più improvvisa, mediante una tipica modificazione del ritmo respiratorio e variazione della mimica facciale (v. riso2): solo l’uomo, tra tutti gli animali, ha la capacità di r.; anche r. è una maniera di imparare (Gianni Rodari); il bambino non sa ancora parlare, ma già ride; cominciare, continuare a r.; non smetteva più di r.; a quell’uscita non poté trattenersi dal r.; la sua battuta mi ha fatto proprio r.; è una farsa tutta da ridere. Quanto al modo: r. a fior di labbra; r. sotto i baffi (più o meno celatamente e spesso con l’idea di benevola malizia) o anche, con sign. simile, sotto sotto o fra sé; r. un poco, forte, rumorosamente, liberamente, saporitamente, sgangheratamente, di gran cuore, a più non posso, senza frenarsi,come un matto, a crepapancia, a crepapelle. In espressioni iperb.: a sentire quei discorsi c’era da morir dal r.; è un comico che ti fa crepar dal ridere. (Da Treccani.it)
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