Nella vita tutto ha un prezzo e tutto si paga: i vestiti con cui ci copriamo, il cibo che trangugiamo, la macchina che guidiamo (mentre “lei” “beve” la nostra benzina, manco fosse acqua), i divertimenti del sabato – pizza e birra, cinemino – il teatro, i libri; le nostre decisioni e anche le nostre indecisioni; persino il tempo, baby.
In base alla portata delle nostre
tasche decidiamo che una cosa possiamo permettercela, quest'altra
forse il prossimo mese, infine quell'altra rientra nei “vorrei ma
non posso” o tra le risposte al classico domandone da pranzo
familiare natalizio “e tu, se vincessi un milione di euro al
superenalotto, cosa ci faresti?”. E anche lì inizi la spartizione:
una fetta investimento, una fetta divertimento, una fett(ina)
parentado, una fett(ina ancora più piccola) non la vuoi dare in
beneficenza?
Insomma, nella vita di tutti i giorni,
e anche quando “vendiamo la pelle dell'orso prima di averlo
cacciato” (l'orso), facciamo in modo di far quadrare i conti,
teniamo in equilibrio entrate e uscite: sappiamo che dobbiamo
spendere quel tot. e non oltre, ponderiamo e scegliamo i prodotti in
offerta, andiamo a caccia di sconti, di saldi, di ribassi, di fuori
tutto. E ci vantiamo anche, con le amiche, con nostra sorella, con il
collega: di aver fatto un affare, prendere molto e spendere poco.
Viviamo in una realtà “a tutta economia” in cui anche l'uomo è
una forza lavoro che ha un valore, un prezzo (il più delle volte
troppo basso): lo stipendio che percepisce.
Lo stesso si può dire dei sentimenti?
Esiste un'economia amorosa? Un “do ut des” degli affetti?
Anche in fatto d'amore si può
ponderare, scegliere tra i “prodotti in offerta”, quello che ci
porta a spendere meno e a “guadagnarci” di più? Decidere chi
amare, per esempio. O chi non amare. Oppure di non amare più. Qual è
il valore di tutte queste azioni? E qual è il loro prezzo?
Forse esiste un portafoglio sentimenti
“personalizzato”, per così per ogni uomo e per ogni donna: se ci
pensiamo bene, quello che uno reputa una spesa folle e insensata,
per un altro quella può essere una “spesa intelligente” - come
nella pubblicità dell'Eurospin” - o, se no altro, un tentativo:
significa crederci, essere disposti a... rischiare o forse a farsi
del male. Perché una componente direi non marginale dell'amore è il
masochismo, il farsi del male. Ma anche qui: a che prezzo? Qualcuno
nella risposta userebbe la parola “felicità”. Felicità, quanto
soffriamo per raggiungerla o, meglio, solo per sfiorarla; sembra un
paradosso, un pre-contrappasso, comunque sempre un terno al lotto o
un'imprevedibile partita a poker.
Forse la verità è che l'amore, quello
vero, non ha nulla a che vedere con il calcolo, con il ragionamento,
con i dati da analizzare, con l'economia. Perché non esiste amore in
cui si calcoli quello che si “dà” e quello che ci torna
indietro: in amore non si può ragionare “alla romana”, dividere,
parcellizzare. L'amore è il sentimento anticapitalista per
eccellenza: diamo diamo diamo e certo speriamo di ricevere qualcosa,
ma in maniera diretta e proporzionale come dice un'altra scienza, la
matematica; tanto per incominciare però diamo. In alcuni momenti c'è
uno che mette il carico sul tavolo e l'altro “vede”, come in una
partita di poker. Poi toccherà all'altro, un giorno, fosse anche
lontano. Sta qui, probabilmente, il vero “prezzo” dell'amore: nel
credere che quella mano l'altro la giocherà; che rischierà anche
lui (o lei) tutto il suo capitale, a tempo debito.
Sineddoche
Figura retorica che risulta da un processo psichico e linguistico attraverso cui, dopo avere mentalmente associato due realtà differenti ma dipendenti o contigue logicamente o fisicamente, si sostituisce la denominazione dell’una a quella dell’altra. La relazione tra i due termini coinvolge aspetti quantitativi, cioè i rapporti parte-tutto (una vela per la barca), singolare-plurale (lo straniero per gli stranieri), genere-specie (i mortali per gli uomini), materia prima-oggetto prodotto (un bronzo per una scultura in bronzo).(Da Treccani.it)
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