Stamattina mi sono svegliata e ho guardato facebook (sic!). Già da questa prima frase potreste dedurre molto sul dinamismo della mia vita sessual-sentimentale, ma non è di questo che volevo parlarvi oggi, almeno non del tutto.
Dicevo, stamattina mi sono svegliata e
ho guardato facebook.
Scorro distrattamente i soliti “stati”,
ci sono tutti: quelli “filosofico-depressi”, di chi ha capito
tutto della vita ed è un giusto, un tipo mezzo dannato-mezzo
disincantato e per questo fico (il tutto si può volgere al
femminile), con gli occhialini e la mano al mento, come la portano
quelli che pensano e pensano, citano Nietzsche, Socrate e poi “ops,
è il correttore dell'iphone che mi fa sbagliare”; ci sono quelli
entusiastici della serie
“wow-faccio-una-vita-favolosa!-vi-ho-convinto-che-non-faccio-una-vita-banale-(come
tutti)?”; a questi di solito segue un book fotografico di
trentacinque foto.
No, ma non sono tutte uguali: in una sorrido e ho il braccio in su e faccio il segno di vittoria, nell'altra faccio la linguaccia, in un'altra brandisco una bottiglia di birra a mo' di trofeo di caccia perché anche questo fa parte della maschera (non siete Pierrot se non avete la faccia tinta di bianco e una lacrima nera sulla guancia; non siete un vero cowboy senza una colt e un sigaro tra i denti). Infine, ma non da ultimo, ci sono quelli “da comunicato ansa” perché, con la velocità di un giornalista che vuole battere le altre emittenti e scrivere per primo una notizia, anche lui (o lei) pensa di doverci aggiornare di ogni suo istante in questa terra: degli umori propri e del proprio apparato riproduttivo, dei movimenti dei propri neuroni (o è solo un trompe l'oeil, uno di quegli effetti ottici per cui un oggetto rimane fermo ma pare si muova o abbia una prospettiva?). Come se poi non sapessimo che la maggior parte della gente vuole lacrime, sangue, pettegolezzi. Gli altri non hanno facebook: gli altri hanno twitter perché fa più radical chic. Perché lì bisogna essere più acuti se ci si vuole fare i fatti degli altri: si ha meno materiale, meno parole, meno frasi; insomma, roba da gente con gli occhialini e la mano portata al mento. Ma non è nemmeno di questo che volevo parlarvi.
No, ma non sono tutte uguali: in una sorrido e ho il braccio in su e faccio il segno di vittoria, nell'altra faccio la linguaccia, in un'altra brandisco una bottiglia di birra a mo' di trofeo di caccia perché anche questo fa parte della maschera (non siete Pierrot se non avete la faccia tinta di bianco e una lacrima nera sulla guancia; non siete un vero cowboy senza una colt e un sigaro tra i denti). Infine, ma non da ultimo, ci sono quelli “da comunicato ansa” perché, con la velocità di un giornalista che vuole battere le altre emittenti e scrivere per primo una notizia, anche lui (o lei) pensa di doverci aggiornare di ogni suo istante in questa terra: degli umori propri e del proprio apparato riproduttivo, dei movimenti dei propri neuroni (o è solo un trompe l'oeil, uno di quegli effetti ottici per cui un oggetto rimane fermo ma pare si muova o abbia una prospettiva?). Come se poi non sapessimo che la maggior parte della gente vuole lacrime, sangue, pettegolezzi. Gli altri non hanno facebook: gli altri hanno twitter perché fa più radical chic. Perché lì bisogna essere più acuti se ci si vuole fare i fatti degli altri: si ha meno materiale, meno parole, meno frasi; insomma, roba da gente con gli occhialini e la mano portata al mento. Ma non è nemmeno di questo che volevo parlarvi.
Vi dicevo, guardo distrattamente e poi
mi fermo su una frase “Diffida di tutto, tranne di quello che ti
dice il tuo cuore”.
Cuore e mente, sempre la stessa storia.
Sempre a litigare, quei due. E noi ad andarci di mezzo. Il grillo
parlante con papillon e panciotto che ci guarda un po' professorino
un po' amico; non vede l'ora di dirla, quella frase, la più usata
nella storia dell'uomo: “te l'avevo detto”. Dopotutto anche lui,
si vede, è stanco di non essere mai preso sul serio: diamine, si
mette anche panciotto e papillon per essere autorevole e noi nulla,
sempre a dar retta a quell'altro, il cuore. L'organo più
disobbedente e inopportuno, non credete? E tutti a pensare al povero
culo. Quello, poverino, fa il suo dovere: ha delle cose da espellere
e lo fa: punto. Ma avete mai visto un muscolo che si muove a suo
piacimento, senza che nessuno gli abbia chiesto niente? Un braccio
che si alza perché ne ha voglia? Una gamba che si allunga perché
vuole sgranchirsi? Una bocca che si apre senza che quel milione di
neuroni dia il comando di alzarsi, allungarsi, aprisi? Quello, il
cuore, invece se ne frega. Va per conto suo, capite? Lui va, batte.
Provate a dirgli “smetti”. Il bello è che, poi, se glielo lo
dite, e lui decide di ascoltarvi, salta la baracca: stecchiti.
Insomma, siamo al ricatto. Per di più, vuole anche far sentire il
rumore che fa, come per dire che è lui che comanda. Mica la mente,
mica il cervello; potessimo sentire tutto il lavoro che fa quel
poveraccio, forse lo terremmo più in considerazione.
Un rumore appropriato potrebbe essere
quello dell'invio di una mail: “fiu”, “fiu”, “fiu”,
“fiu”. “Lo senti, fiuuuuuuuuuuuuuu!”. Quante mail ci invia la
nostra materia grigia? Ma vanno tutte nello spam: indesiderate. Poi,
quando rimaniamo con un cerino spento in mano, osiamo anche dirgli
che non ce lo aveva detto abbastanza, con abbastanza convinzione, con
abbastanza forza o, peggio, gli diciamo la balla che propiniamo e ci
propinano tutte le volte che sollecitiamo la risposta di un tizio o
una tizia e questa dopo giorni ci dice che non l'ha mai ricevuta e
poi “già, che stupido/a era finita nello spam! Forse è colpa
delle immagini”. Già perché lui, il nostro cervello, è al passo
con i tempi: ci manda anche delle immagini, sapete. Cartelli, anche
animati: rallenta!, stop!!, deviazione!!!, volta a destra!!!,
pericolo!!!!, pericolo di morte!!!! Niente. Dapprima usa il tono
interlocutorio “credo sia più opportuno che tu prenda questa
decisione”, “dopo aver ponderato a lungo, credo che la via più
prudente sia questa”. Poi anche lui s'incazza e si comporta da
fidanzato indispettito “se fai questa cosa io ti mollo, ok? Se fai
questa cosa non mi cercare più. Ti lascio a vagare per la città con
un sacchetto di plastica, a guardare l'infinito e a sbraitare come lo
scemo del paese, capito?”. Ancora niente: siamo sordi, ciechi,
muti.
Ma, forse, un motivo c'è ed è un
motivo linguistico, se così si può dire.
Poco più in alto ho usato un
aggettivo: prudente. Se c'è una cosa meravigliosa e terribile a un
tempo, quando si tratta d'amore, di sentimenti, è che questa parola,
quadrata e ragionevole e ponderata e sensata, non la usiamo mai. Il
dizionario dell'amore ha delle entrate del tutto diverse; una le
riassume tutte: passione. Non esiste in natura una passione prudente.
“Passione prudente” è l'ossimoro dei sentimenti: possiamo
decidere di dare retta alla nostra mente e lasciar perdere, deviare,
cambiare strada, fermarci e di certo non sbagliamo se lo facciamo.
Ma, se non gli diamo ascolto, allora non esiste alcuna passione che
sia prudente, sensata, ponderata, ragionata: se siete a bordo di una
ferrari, e siete voi al volante, vi viene solo voglia di correre, di
andare veloci, di sentire i muscoli dello stomaco che si ritraggono,
la gola che si chiude, le mani che sudano, fino al limite. Per questo
esistono i circuiti: per far sfrecciare il nostro bolide senza
infrangere le regole della strada e senza farci del male.
Non esiste, però, un circuito per
l'amore, un posto in cui far sfrecciare i nostri sentimenti senza
trovarsi con il cuore a volte solo ammaccato, a volte spaccato.
Perché il cuore sarà pure l'organo più disobbediente e cocciuto,
quello che va per conto suo e va a prescindere, quello che vuole
anche farci sentire il rumore che fa, ma è anche quello se si deve
sfasciare si sfascia, senza finzioni, senza giochi, senza airbag,
senza mostrare le cicatrici.
Il cuore è l'organo più coraggioso
che abbiamo: quello che ci fa sentire il caldo e il freddo, ma della
vita. E questo suo battere, questo suo andare comunque e a
prescindere in quei momenti diventa la sua maledizione. Quell'altro,
tutto questo lo sa, quel dannato cervellone: sa che il suo compito è
metterlo in guardia, costringerlo a riflettere, ma anche esserci dopo
lo schianto, stare lì, il tempo che serve, senza farla troppo lunga.
E dirgli piano quelle frasi sagge che il cuore non ha mai voluto
ascoltare e che però ora è costretto a fare perché non ha
abbastanza energie per continuare a battere comunque e per dire a
quell'altro di tacere una dannata volta. La nostra mente resta lì e
aspetta, parla piano, con dolcezza e decisione ma, come un buon
amico, non vede l'ora che passi quel tempo per ricominciare a
litigare su chi abbia davvero ragione.
prudènza s. f. [dal lat. prudentia, der. di prudens -entis «prudente»]. –
1. L’atteggiamento cauto ed equilibrato di chi, intuendo la presenza di un pericolo o prevedendo le conseguenze dei suoi atti, si comporta in modo da non correre inutili rischi e da evitare a sé e ad altri qualsiasi possibile danno.2. Nella teologia cattolica, una delle quattro virtù cardinali, cioè la virtù capace di dirigere l’intelletto nelle singole attività in modo da discernere ciò che è giusto e che conduce al fine ultimo dell’uomo. (Da Treccani.it)
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