lunedì 19 ottobre 2015

Lettera all'amore

Lui ha poco più di vent'anni. Occhi di pesce vivo, pelle di terra indiana. Mi fa vedere la pagina scritta di un quaderno a quadretti. “Silbia, tu guardare”. La v proprio non riesce a pronunciarla: sente che il suono è quello ma, quando l'aria gli esce dalla bocca, è diverso. Gli faccio vedere, “devi spingere i denti sul labbro inferiore”, lui chiude le labbra e il risultato è una b lunghissima, innaturale. Ridiamo.

venerdì 16 ottobre 2015

Valigie e spazi vuoti

La valigia dell’attore, cantava Francesco De Gregori.

Ma com'è la valigia di una donna? 
Sempre troppo piena.
È sempre troppo piena perché non si sa mai: se poi dovesse esserci freddo? E se si schiattasse di caldo? E se mi macchiassi? E se ci scappasse un invito a cena?
Chissà perché noi donne abbiamo l’ossessione di avere tutto sotto controllo; come se gli imprevisti fossero così stupidi.

Insomma, la valigia di una donna è sempre troppo piena, anche di domande.
Nella mia oggi oggi c’è un cambio in più - in caso mi sporcassi (probabile); una maglia in più - in caso ci fosse freddo (assai probabile); una t-shirt - in caso venisse fuori il sole (improbabile); un vestito elegante - in caso ci scappasse una cena (auspicabile). E c’è ancora spazio.

Le donne lasciano sempre uno spazio vuoto nella loro valigia, perché pensano di portarsi indietro qualcosa dal loro viaggio.
E io non sono esente, né l’eccezione. Perché, anch’io penso (e spero) di portare indietro qualcosa dal mio viaggio: delle risposte alle mie domande. O altre domande. O altri progetti. O altri libri. O altre scarpe.


O tutte queste cose insieme.


Congiunzioni disgiuntive 
Le congiunzioni disgiuntive (dette anche alternative) sono ➔congiunzioni coordinative o subordinative che hanno la funzione di introdurre un’alternativa tra due parole, due concetti o due frasi, a volte escludendo uno dei due.
Le congiunzioni disgiuntive più frequenti sono o, oppure, ovvero, altrimenti. 
(Da Treccani.it)

giovedì 15 ottobre 2015

Canto, decanto.



Ufficio deserto. Io rimango. Metto una bella musica a tutto volume. E canto. E decanto.

Dice il proverbio: "La donna 15 anni scherza, a 20 brilla, a 25 ama, a 30 brama, a 35 sente, a 40 vuole, a 50 paga". Ma è così? (Eh, sì)

Mentre facevo delle ricerche per trovare il nome giusto per questo blog ho fatto un “giro” tra i detti, i proverbi italiani che avevano per argomento la donna, tanto per cambiare.
Ho trovato i soliti, ma poi mi sono soffermata su uno:

la donna 15 anni scherza, a 20 brilla, a 25 ama, a 30 brama, a 35 sente, a 40 vuole, a 50 paga.

Ci ho riflettuto un po', poi il nome del mio blog è andato altrove, ma trovato questo detto profondamente vero.
In questo momento io sarei nella fase del “bramare” cioè del 'desiderare ardentemente', come dice il mio caro amico, il Vocabolario Treccani, visto che ho poco più di trent'anni.

E infatti SONO in quella fase.
Non scherzo più, come facevo a quindici anni; non sono più “nell'abbagliante splendore del mio primo amore”, e prendo in prestito (e lo cambio) un verso di Jacques Prevert, né del mio splendore in generale. Ma mi piaccio di più: con le mie rughe sugli occhi, che riconosco a una a una perché so da dove vengono; mi riconosco nel mio sguardo disilluso ma più consapevole, delle debolezze come delle bellezze delle persone. Mi riconosco nei miei toni più duri, che hanno perso molto del mio perbenismo e buonismo di ragazzina; e forse ne hanno perso anche la spensieratezza.


Visto che ho passato i 25, amo anche in maniera diversa: non più in modo “totale”, non in modo “cieco”, scomodando un altro proverbio famoso, ma forse amo di più. Amo di più me stessa, metto me stessa al primo posto. E poi gli altri devono convivere con il secondo, di posto: sempre che gli vada.

Perché “bramo” la mia indipendenza, e la mia libertà.

mercoledì 14 ottobre 2015

Ma... fammi ridere!


Quando litighiamo (il che succede spesso) io sparisco: non rispondo al telefono e al campanello perché so che è lui, che vuole parlare, chiarire, spiegare, insomma usare tutti i verbi rientrano nel campo semantico del "litigio" e il suo contrario "pace", "chiarimento", ecc.

Ad ogni modo, io sparisco, rifiuto ogni contatto, visivo, di parola, di scrittura. Voi direte, e anche io me lo dico, che questo è infantile. Sarebbe molto più maturo affrontare il discorso, parlare, spiegarsi, insomma, usare tutti quei verbi là: lo so.
Tra i tanti motivi per cui lo faccio - in testa c'è la rabbia ma anche la necessità di dargli il segnale rosso che si tratta di una cosa seria e non di un semplice scazzo - ce n'è uno che io cerco di mascherare ma che temo lui abbia scoperto.
Non mi frega nulla se si presenta con dei fiori (e io adoro i fiori), non mi frega nulla se si presenta con un regalo (e io adoro i regali), mi frega un po' di più se questo regalo è un libro che cerco e non riesco a trovare, ma posso resistere.

Ma se riesce a farmi ridere, anche se sono un drago sputafuoco, è la fine. Perché la risata toglie tutta la suspence, il tono grave, e di "cosa seria" e a lui fa credere (e a ragione) di aver fatto breccia tra la lava incandescente, di aver trovato il rubinetto della mia rabbia. Non so resistere a una battuta ben detta, intelligente, acuta, non banale: questo è il mio problema. Per fortuna, trovare uno che riesca a fare una battuta intelligente, acuta e non banale è una bella lotta, da sé è una prima, ma imponente, selezione naturale (grazie Darwin).

Come ho scritto, penso lui l'abbia capito.
L'altra volta classica scena: litighiamo, io sparisco, non rispondo, non voglio parlare. Poi gli apro la porta per incenerirlo e seppellirlo di parole e lui incenerisce e seppellisce me con una battuta divina. E io rido. E il litigio è finito.

Chiuso il sipario, terminata la tragi-commedia, prendiamo a chiacchierare e lui mi dice: "Se io fossi una donna - e di certo sarei una donna intelligente - e il mio uomo fosse sul ciglio di un burrone, l'unica cosa che potrebbe salvarlo sarebbe una battuta detta bene".
Ecco, infatti.

Ma sappi che, se i motivi del litigio fossero altri, e non si limitassero a discussioni su opinioni e sul modo di affrontare delle situazioni, allora altro che battuta: non basterebbero il manuale della battuta perfetta e tutti i santi del cielo per salvarti.


rìdere v. intr. [lat. ridēre, con mutamento di coniug.] (pass. rem. risiridésti, ecc.; part. pass. riso; aus. avere). – 
1.
a. Manifestare un sentimento di allegrezza spontanea, viva e per lo più improvvisa, mediante una tipica modificazione del ritmo respiratorio e variazione della mimica facciale (v. riso2): solo l’uomo, tra tutti gli animali, ha la capacità di r.; anche r. è una maniera di imparare (Gianni Rodari); il bambino non sa ancora parlare, ma già ridecominciarecontinuare a r.; non smetteva più di r.; a quell’uscita non poté trattenersi dal r.; la sua battuta mi ha fatto proprio r.; è una farsa tutta da ridere. Quanto al modo: ra fior di labbrarsotto i baffi (più o meno celatamente e spesso con l’idea di benevola malizia) o anche, con sign. simile, sotto sotto o fra sérun pocoforterumorosamenteliberamentesaporitamentesgangheratamentedi gran cuorea più non possosenza frenarsi,come un mattoa crepapanciaa crepapelle. In espressioni iperb.: a sentire quei discorsi c’era da morir dal r.; è un comico che ti fa crepar dal ridere. (Da Treccani.it)

venerdì 9 ottobre 2015

Domandare è donna. Tacere, uomo

Inizio

Conversazione tra un uomo e una donna. Di notte, a letto.

Svolgimento

Lei: "A cosa pensi?"
Lui: "A nulla".

Fine


Antitesi
Figura retorica consistente in un accostamento di parole o concetti contrapposti che acquistano rilievo dalla vicinanza e dalla disposizione per lo più simmetrica. Si ottiene sia affermando una cosa e negando insieme la sua contraria (Non fronda verde, ma di color foscoDante), sia mettendo a contrasto due fatti opposti e ambedue reali (Presume di rifar tutto, perché nulla sa fare,Leopardi). (Da Treccani.it)

Si fa alla romana, ma non in amore. La parte che fa il tutto


Nella vita tutto ha un prezzo e tutto si paga: i vestiti con cui ci copriamo, il cibo che trangugiamo, la macchina che guidiamo (mentre “lei” “beve” la nostra benzina, manco fosse acqua), i divertimenti del sabato – pizza e birra, cinemino – il teatro, i libri; le nostre decisioni e anche le nostre indecisioni; persino il tempo, baby.

In base alla portata delle nostre tasche decidiamo che una cosa possiamo permettercela, quest'altra forse il prossimo mese, infine quell'altra rientra nei “vorrei ma non posso” o tra le risposte al classico domandone da pranzo familiare natalizio “e tu, se vincessi un milione di euro al superenalotto, cosa ci faresti?”. E anche lì inizi la spartizione: una fetta investimento, una fetta divertimento, una fett(ina) parentado, una fett(ina ancora più piccola) non la vuoi dare in beneficenza?

Insomma, nella vita di tutti i giorni, e anche quando “vendiamo la pelle dell'orso prima di averlo cacciato” (l'orso), facciamo in modo di far quadrare i conti, teniamo in equilibrio entrate e uscite: sappiamo che dobbiamo spendere quel tot. e non oltre, ponderiamo e scegliamo i prodotti in offerta, andiamo a caccia di sconti, di saldi, di ribassi, di fuori tutto. E ci vantiamo anche, con le amiche, con nostra sorella, con il collega: di aver fatto un affare, prendere molto e spendere poco. Viviamo in una realtà “a tutta economia” in cui anche l'uomo è una forza lavoro che ha un valore, un prezzo (il più delle volte troppo basso): lo stipendio che percepisce.

Lo stesso si può dire dei sentimenti? Esiste un'economia amorosa? Un “do ut des” degli affetti?
Anche in fatto d'amore si può ponderare, scegliere tra i “prodotti in offerta”, quello che ci porta a spendere meno e a “guadagnarci” di più? Decidere chi amare, per esempio. O chi non amare. Oppure di non amare più. Qual è il valore di tutte queste azioni? E qual è il loro prezzo?

giovedì 8 ottobre 2015

"Com'è?" "È una brava ragazza" (complemento di modo)


Quando sarò morta. Ecco, quando sarò morta potrete dire di me che ero "una brava ragazza". Ma non prima, ve ne prego.
E lo dico soprattutto a te, uomo del mistero che sarai al mio fianco per il resto della mia vita - un giorno, molto lontano, forse in un'altra vita - quando ti chiederanno di me, che tipo sono, tu non dire mai "è una brava ragazza". 
"È una brava ragazza" lo puoi dire della dirimpettaia che vedi uscire di casa la mattina presto per portare i figli a scuola; lo puoi dire della barista che ogni mattina ti serve un espresso; lo puoi dire della ragazza che vedi soffrire con te in palestra. Ma non della tua donna, dell'oggetto del tuo desiderio, dei tuoi pensieri, dei tuoi progetti; non di colei che scatena la tua passione più sfrenata, la dolcezza più commovente, la rabbia più straripante.

Per il mio epitaffio "da viva", di donna, di amante, di compagna, voglio una descrizione futurista: un inno al movimento e alla velocità di pensiero, all'ardore e alla tenacia; voglio essere paragonata per bellezza a una macchina da corsa; per fascino a una poesia tormentata; per acume a un lampo. Anche se, facendolo, dovrai mentire.

Perché non c'è niente di più avvilente di quella breve frase. Quindi non dirla. Anche se la dovessi avere sulla punta della lingua: morditela. Anche se lo dovessi pensare perché in realtà io sono una brava ragazza.
Ma la realtà è talmente noiosa.




Il complemento di modo
Esprime il modo in cui avviene un’azione, risponde alla domanda "come?", "in che modo?": "oggi mi sono svergliato di ottimo umore"; è introdotto dalle preposizioni: con, a, in, di, per, su, o dalla locuzione preposizionale alla maniera di. Il complemento di modo può essere espresso anche da un avverbio.
Vediamo ora nello specifico l’uso delle diverse preposizioni che introducono questo complemento:• la preposizione con è molto frequente per introdurre il compemento di modo e ha un significato di unione: "ho studiato con molto impegno";• la preposizione a è anch’essa molto frequente e marca il modo come riferimento a un modello: "le campane suonavano a festa";• la preposizione in introduce un rapporto di tipo locativo, come un "luogo" in cui è immerso il fatto descritto dall’azione: "mio figlio lascia sempre tutto in disordine";• la preposizione di specifica una qualità dell’azione: "non mi piace quando fai le cose di nascosto";• la preposizione per introduce un significato molto vicino allo scopo: "dicevo per scherzo!";• altri elementi che introducono questo complemento possono essere: su, dietro, secondo, alla maniera di, a seconda di, sulla base di, in relazione a: "cambia umore a seconda del tempo", "lavoriamo solodietro precisa richiesta";• come si è detto, questo complemento può essere espresso anche da un avverbio: "lavoro onestamente (con onestà)". (Da Zanichelli.it)


lunedì 5 ottobre 2015

Mi specchio quindi sono



Pensare lo si può fare ovunque. Ma c'è un posto in cui alle donne riesce meglio: davanti allo specchio. Riflettere guardandosi riflesse nello specchio è quasi un esercizio catartico, un cerchio che si chiude.
Mentre ci sfoltiamo le sopracciglia, mentre ci trucchiamo, mentre ci asciughiamo i capelli, guardiamo in faccia e parliamo con chi abbiamo di fronte, quasi non fossimo noi. 
Parliamo, raccontiamo, discutiamo, ci incazziamo, ci commuoviamo con quella quella donna che ancora non ha indossato la sua maschera, la faccia che gli altri conoscono e che riconoscono come la nostra.

Guardandoci ci convinciamo che stiamo facendo la cosa giusta o, al contrario, realizziamo che stiamo prendendo una cantonata e faremmo meglio a sterzare; nel frattempo, "registriamo" che il sapone liquido per le mani va ricomprato, che forse potremmo provare la ricetta di quel dolce.
Guardandoci decidiamo come vestirci e che persone saremo in quel giorno: se ci perdoneremo o se continueremo ad arrovellarci, a tormentarci; se perdoneremo o se tormenteremo qualcun altro.

domenica 4 ottobre 2015

Non darla (vinta)


Litighiamo: io alzo la voce, lui spiega. Poi spiego io e lui ascolta. Mangiamo gnocchi di patate al sugo e torta di carote parlando di niente. Io lavo i piatti, lui li asciuga con un panno. Mi allunga un bacio tra i capelli, io mi scanso appena per fargli capire che ce l'ho ancora con lui.
Beviamo un caffè e poi stiamo zitti, ci guardiamo con la coda dell'occhio. Ci sondiamo.
Lui va via per un po' e poi torna verso sera con due pizze margherita e un bel sorriso.
Lui: “so che stasera non mi farai restare da te”
Io: “e perché?”
Lui: “perché altrimenti, se avessi anche il premio, non mi daresti tua lezione”
Io: “vedo che inizi a capire come ragionano le donne”.



Imperativo negativo
L’imperativo negativo forma la 2a persona singolare con non + infinito oppure del congiuntivo ➔esortativo, in tutti i casi in cui sostituisce l’imperativo  
La 2a persona plurale dell’imperativo negativo dei verbi pensare e credere è resa con non + congiuntivo presente 
A differenza dell’imperativo affermativo, nell’imperativo negativo i pronomi possono trovarsi sia dopo sia prima del verbo
Entrambe le forme sono corrette, anche se la tradizione grammaticale ha preferito la forma con il pronome messo prima anziché quella con il pronome messo dopo il verbo, oggi più diffusa nell’uso comune. (Da Treccani.it)

(Cervello): “Sii prudente" - (Cuore) “Ma anche no"


Stamattina mi sono svegliata e ho guardato facebook (sic!). Già da questa prima frase potreste dedurre molto sul dinamismo della mia vita sessual-sentimentale, ma non è di questo che volevo parlarvi oggi, almeno non del tutto.
Dicevo, stamattina mi sono svegliata e ho guardato facebook.

Scorro distrattamente i soliti “stati”, ci sono tutti: quelli “filosofico-depressi”, di chi ha capito tutto della vita ed è un giusto, un tipo mezzo dannato-mezzo disincantato e per questo fico (il tutto si può volgere al femminile), con gli occhialini e la mano al mento, come la portano quelli che pensano e pensano, citano Nietzsche, Socrate e poi “ops, è il correttore dell'iphone che mi fa sbagliare”; ci sono quelli entusiastici della serie “wow-faccio-una-vita-favolosa!-vi-ho-convinto-che-non-faccio-una-vita-banale-(come tutti)?”; a questi di solito segue un book fotografico di trentacinque foto.